Il cibo tra arte, natura e artificio
La struttura è particolare di per sé, per la sua architettura inconfondibile, ma anche per ciò che si trova al suo interno. Tante piccole opere d’arte vengono sfornate, rimodellate e servite giorno dopo giorno dagli artigiani e poi degustate da centinaia e centinaia di visitatori. Ne Il terzo Paradiso Pistoletto realizza una riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, i due cerchi opposti vanno a simboleggiare il primo e il secondo paradiso, rispettivamente gli umani integrati nella natura in contrapposizione con tutto ciò che è artificiale. Il terzo cerchio/paradiso centrale, simboleggia il “grembo generativo di una nuova umanità“, il superamento di questo conflitto che tutti noi viviamo nella società attuale.
Anche in questo caso possiamo guardare all’arte dalla prospettiva del cibo, anch’esso può ritrovarsi nei tre cerchi rappresentati dall’artista: dalle origini in cui anche gli alimenti erano perfettamente integrati con la natura, seguivano la stagionalità ed erano più grezzi e “puri” fino ad arrivare all’artificio, la lavorazione, la produzione su scala industriale. Ritroviamo il terzo cerchio nel tentativo – più attuale che mai – di riportare tutto alle origini, con la riscoperta dei valori più semplici, la volontà di usare al meglio le risorse che il nostro pianeta ci offre, uno scontro su un altro livello: quello dell’etica e dell’estetica. Negli ultimi anni si è notata questa tendenza in varie correnti più o meno estremiste, dai vegani ai crudisti passando per i fruttariani o più semplicemente gli amanti del biologico alla ricerca del cibo di qualità contro la contaminazione di tutto ciò che non è naturale, la produzione industriale, l’ogm: per farla breve, la zuppa della nonna batte la cucina molecolare.
Ma questo Terzo Paradiso può avere una doppia valenza: distogliendo un attimo l’attenzione dal simbolo dell’infinito rivisitato e soffermandosi solo sul concetto paradisiaco, il cibo rientra perfettamente in questa categoria, è al centro del peccato di gola per il quale tutti – nessuno immune – rischiamo di vivere l’eternità all’inferno. Condannati ad un inquietante girone dantesco, solo per aver avuto a disposizione sulle nostre tavole ogni bontà immaginabile – per noi in quel momento altamente illuminante e sì, paradisiaca. Il cibo è fonte di felicità, la produzione di serotonina è scientificamente provata, sulla sua capacità di purificazione le teorie sono variegate. Se vogliamo tornare a quelle del buon vecchio Dante Alighieri, nel paradiso la fame era uno status inconcepibile, pertanto non c’era bisogno di nutrirsi. Ecco perché già allora ci eravamo schierati dalla parte dell’inferno, proprio adesso che viene il bello, il terzo cerchio di congiunzione tra le nostre origini e la nostra evoluzione in stato avanzato si sta espandendo, si sta modificando giorno dopo giorno dando vita a nuovi scenari e non possiamo perderceli per nulla al mondo. La vita stessa è un pasto da degustare sapientemente, senza lasciarsi sfuggire nemmeno una sfaccettatura, nemmeno un aroma, nemmeno una briciola!
Foto di Federica Di Giovanni
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