Un tuffo in un mare di plancton, la nuova frontiera del cibo
Siamo nel 2017 e quando si fa riferimento al cibo del futuro (nel senso stretto di alimento e non di tecnologie produttive) si parla del plancton, che è praticamente nato insieme al nostro pianeta.
Il 2017 è anche l’anno della consacrazione definitiva del (fito)plancton, che prima era solo per le cucine d’avanguardia. Nel 2013 segnavano la rivoluzione culinaria gli chef spagnoli, oggi tutte le cucine stellate propongono piatti a base di questa polverina verde. Ma del plancton si è sempre parlato e basta tornare indietro nel tempo per scoprire che è sempre stato “il cibo del futuro”. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta c’è stato un periodo in cui si è parlato parecchio di quello proveniente dalla Thailandia; negli archivi del New York Times il primo articolo in cui viene menzionato il plancton per le sue proprietà risale al 1932, ma viene citato in numerosi articoli della testata già da fine Ottocento, anche se per altre motivazioni. Il Telegraph in un articolo del 2012 racconta di uno scambio di lettere segrete tra alcuni accademici inglesi, risalenti al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Visto il momento di crisi in cui riversava l’intera popolazione, era stata già avanzata l’idea di coltivare appositamente il plancton – ricchissimo di proteine – per permettere a tutti di avere il cibo a disposizione. L’ipotesi era già stata proposta nel 1929 da William Beebe, che aveva definito il plancton “la dispensa dell’oceano”. Nel 1952 si parlava di “strani cibi che piacciono ad alcune persone”, un’idea generale di plancton come cibo del futuro, uno strascico degli studi condotti nel 1949 dal professore di Yale Werner Bergmann, il quale aveva rilanciato l’idea di coltivare il plancton per trasformare i deserti in terre produttive desalinizzando l’acqua degli oceani. Nel dopoguerra l’argomento è tornato in auge, soprattutto perché c’era la convinzione diffusa che grazie al plancton sarebbe stato risolto il problema più grande e importante di sempre: la fame nel mondo.
Purtroppo dal futuro – che per noi è diventato presente – possiamo dichiarare il fallimento di questa utopia, ma non tutto è perduto. Parliamo di una frontiera che poi così nuova non è, soprattutto se consideriamo che l’oceano è il più grande ecosistema del pianeta, ed è anche il più antico, e che il fitoplancton contribuisce alla produzione del 50% dell’ossigeno prodotto dai vegetali della Terra. Il termine “plancton” fu coniato dal biologo tedesco Victor Hensen, la parola deriva dal greco e vale a dire “vagabondo”, “errante”. Il periodo in cui Hensen operò fu molto prolifico per quanto riguarda il campo alimentare: a fine Ottocento, in piena industrializzazione, fu inventata la pastorizzazione, si iniziavano a progettare i primi modelli di frigorifero, venivano costruite le fabbriche per produrre la birra e inconsapevolmente si gettavano le basi di quella che poi sarebbe diventata la globalizzazione. L’Ottocento dal punto di vista delle scoperte fu un secolo rivoluzionario, di svolte e cambiamenti. Per molto tempo, invece, il plancton è stato considerato semplicemente cibo per pesci e cetacei. Certo, è stato riconosciuto il suo valore nell’ecosistema marino ma non l’impatto che avrebbe potuto avere sulla vita dell’uomo. Oggi è valorizzato anche per il suo potenziale nell’ambito della cosmesi, il monopolio della produzione di questa polverina – fondamentalmente alga liofilizzata – è di Fitoplankton Marino S. L., l’unica società autorizzata alla produzione di plancton per il consumo umano, in modo tale da garantire l’integrità degli organismi seguendo processi ben precisi. L’obiettivo è quello di offrire i valori nutrizionali per aiutare le persone a raggiungere un’alimentazione sana e sostenibile, al momento i costi non lo rendono accessibile a chiunque.
Quale cibo per il futuro?
La prima domanda che viene in mente quando si pensa a un alimento a base di plancton è: che sapore ha? E la risposta è sempre la stessa: sa di mare. Sa di mare perché quasi tutte le creature che lo popolano si nutrono di plancton, semmai si dovrebbe iniziare a dire, per esempio, che l’aragosta sa di plancton e così via. Se se ne sta parlando tanto adesso è per via dei suoi numerosi benefici, dovuti alle sue proprietà nutritive: è ricco di ferro, calcio, fosforo, iodio, magnesio, potassio, omega 3, vitamina C e vitamina E. In cucina si usa sotto forma di polverina verde che necessita di reidratazione e che contiene tutte le sostanze principali per portare avanti uno stile di vita sano (e sostenibile, ma non per tutte le tasche). Come per la cucina molecolare, i primi a guardare in questo modo al plancton sono stati gli spagnoli, a partire da Ángel León, che al mare ha dedicato la sua intera idea di cucina.
Un’altra polverina verde che riscuote sempre più successo è la spirulina, integratore alimentare già in uso ai tempi degli Aztechi fino al VI secolo. Il popolo azteco coltivava la spirulina e la consumava insieme al cacao, anche per preparare delle torte; ne notò l’utilizzo il condottiero spagnolo Hernán Cortés. Si tratta di un’antica classe di alghe monocellulari che crescono in acqua dolce, in un ambiente alcalino: è una delle più semplici forme di vita e anche tra le più simili al fitoplancton. Entrambi questi elementi, infatti, sono stati una fonte di sostentamento primordiale per tutte le forme di vita e sono alla base della catena alimentare. La loro capacità è quella di convertire la luce del sole in proteine pure, da qui ne derivano i loro numerosi benefici; sono infatti una fonte completa di proteine, adatta a chi ha scelto di seguire uno stile di vita vegetariano o vegano. Il lago Texcoco in Messico è tutt’oggi molto prolifico da questo punto di vista insieme al lago Ciad, in Africa. Tra i benefici della spirulina ci sono la sua capacità di ristabilire l’equilibrio chimico a livello cerebrale, anche per via della serotonina. La quantità di ferro può compensare quella delle carni rosse, è un ottimo antiossidante e, come nel caso del plancton, viene utilizzata nell’ambito della cosmesi. Antistaminico naturale, è considerato un vero e proprio “super cibo” e alcuni studi hanno evidenziato di come sia un contributo utile nella cura dell’insonnia e del disturbo da deficit di attenzione (ADHD). Cibo rivelazione, che potrebbe segnare una rivoluzione e che dimostra ancora una volta di come, nei secoli, del cibo non ci si può stancare perché cambia sempre e, pur rimanendo fedele a se stesso, riesce a rinnovarsi.
Foto di Federica Di Giovanni
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