Confetti di Carnevale
All’epoca non si usava ancora lo zucchero, perciò il ricoperto era fatto con un composto di farina e miele e oltre alle mandorle venivano usati anici o semi di coriandolo. I primi confetti dovrebbero risalire al 1200 a.C. e hanno mantenuto il loro successo intatto nel tempo. La prima fabbrica italiana a produrli è nata a Sulmona nel 1400, nel corso dei secoli i confetti sono diventati una forma di omaggio e il loro colore cambia a seconda della ricorrenza. A Venezia erano molto apprezzati dai nobili ed erano una loro prerogativa, poiché potevano permettersi di importarli dall’Oriente. I nobili dell’impero bizantino usavano lanciare confetti dai loro balconi sul popolo in festa in occasione del Carnevale e questa usanza si è diffusa in tutta Italia. I confetti sono stati, in sostanza, i predecessori dei coriandoli, infatti qualcuno li chiamava “coriandoli di zucchero” e in inglese è rimasto, seppure erroneamente, il nome “confetti” per i coriandoli.
L’inventore dei coriandoli
Da confetti a palline di carta e gesso. I famosi ritagli di carta colorati che conosciamo oggi sono stati inventati da Ettore Fenderl nel Carnevale 1876. Quello che in seguito divenne un importante scienziato, raccontò che allora era appena un ragazzino così povero da non potersi permettere le palline di gesso. Per non rinunciare ai festeggiamenti di Carnevale decise di ritagliare dei pezzettini di carta e fu presto imitato anche da chi gli stava intorno. C’è chi dice, però, che l’inventore dei coriandoli sia stato Enrico Mangili, che aveva una stamperia di tessuti a Crescenzago. In un’ottica che oggi sembrerebbe quella di un ecologista all’avanguardia, Mangili decise di riutilizzare gli scarti dei fogli di carta che venivano bucati per poi essere usati come lettiere per i bachi da seta e nel corso di poco tempo rimpiazzò la tradizione del lancio dei confetti a Carnevale.
“Stelline colorate rischiarano il mio cielo da quando mi hai baciato […] Cordianoli di sogno per questo nostro amore, ho voglia di gridare mi piaci, mi piaci, mi piaci da morir”.
L’origine del confetto, invece, è stata attribuita a un medico arabo che avrebbe creato l’involucro di zucchero per metterci dentro il preparato medicinale e rendere più gradevole le cure ai bambini. In ogni caso dobbiamo agli arabi anche la realizzazioni dei confetti che conosciamo tutt’oggi, perché furono loro a importare lo zucchero in Europa nel 700 d.C. Il Carnevale come festività arriva da ancora più lontano. Oggi è una festa celebrata nei paesi cattolici ma le sue origini risalgono ai Saturnali romani. Il Carnevale dura per 7 giorni, il più importante è il martedì grasso, il giorno del banchetto – la grande abbuffata – prima dell’astinenza e del digiuno dei quaranta giorni di quaresima, che ha inizio il mercoledì delle ceneri e finisce prima della Pasqua.
Una collocazione più lontana nel tempo, però, si può percepire dal ruolo delle maschere. Oggi ne esistono di tutti i tipi, riprendono personaggi celebri o fittizi, ma un tempo avevano una valenza ancor più simbolica o, come nel caso del Carnevale veneziano, servivano a camuffare l’identità di una persona. Di maschere parlava già Apuleio nelle sue Metamorfosi, in epoca romana (ma non solo) si ritrova anche l’origine della tradizione dei carri. Quello che oggi è per noi il Carnevale coincide con i festeggiamenti in onore di Dioniso (Antesterie) che si svolgevano a cavallo tra febbraio e marzo. Tre giorni all’insegna di feste sfrenate e litri di vino, era il caos prima che si ristabilisse l’ordine di tutte le cose. I giorni che precedevano la primavera erano considerati una fase di transizione, sia nell’antica Roma che in Babilonia. La cosmogonia è stato il filo conduttore di questi rituali per molto tempo, alcuni di essi potrebbero anche essere ricollegati alle feste pagane che hanno portato ad Halloween. Al caos sarebbe seguita una nuova creazione del cosmo, pertanto gli spiriti in alcuni giorni potevano tornare sulla terra, c’era un passaggio aperto tra il mondo degli inferi e quello dei vivi. Le maschere probabilmente si indossavano anche per questo motivo, con funzione apotropaica, per scacciare tutti gli influssi negativi. Si sono evolute in seguito, diventando rappresentazioni di animali per poi essere fortemente influenzate dai personaggi teatrali.
Risate, scherzi e maschere
Da sempre l’arrivo della primavera ha simboleggiato l’idea di rinascita e rinnovo. Un altro elemento che non doveva mancare nel periodo dei festeggiamenti pre-quaresimali era l’allegria. Il riso aveva il potere di sconfiggere la morte, la tristezza in vista di un lungo periodo di astinenza e penitenza. Inoltre si pensava che col riso tutto rifiorisse, perciò era importante ridere il più possibile, questo ha portato alla nascita dell’usanza di fare scherzi, anche fino all’esagerazione. Da questa esigenza sono nati gli ormai proverbiali “scherzi da prete”. Pare che il clima fosse particolarmente triste nei giorni che precedevano la quaresima, perciò i preti erano soliti organizzare degli scherzi per far ridere e divertire i loro fedeli.
Il martedì grasso odierno è comunque all’insegna del cibo, anche se non seguirà alcun digiuno quaresimale. In Italia, si sa, c’è una vastissima tradizione culinaria e il Carnevale non è di certo immune. Si festeggia da nord a sud – da Acireale a Viareggio – e in ogni regione esistono delle specialità, soprattutto dolci. Chiacchiere, fritole, castagnole, frittelle, krapfen, ogni posto ha il suo dolce e il Carnevale è un’occasione per trascorrere del tempo tutti insieme facendo sfoggio di maschere colorate, lanciando coriandoli dappertutto. Ogni regione, inoltre, ha anche la propria maschera rappresentativa (o più di una): c’è il Pulcinella campano, il Dottor Balanzone emiliano-romagnolo, il Rugantino laziale o l’Arlecchino lombardo, che è forse la maschera-simbolo del Carnevale con il suo vestito fatto di ritagli di stoffa colorati. Le origini di questa maschera derivano dalla tradizione agricola, Hellequin altri non era che un demone. Un riferimento si ritrova anche nella Divina Commedia, Alichino è uno dei demoni della bolgia dei barattieri; la maschera originaria di Arlecchino, in effetti, è tutt’altro che divertente, con il suo ghigno inquietante e vagamente demoniaco. Tornando al riso, è probabilmente per questo motivo che in seguito Arlecchino ha assunto un tono molto più ironico, la risata e la burla erano un modo per esorcizzare tutte le paure, quasi un gesto scaramantico. Tutto si ricollega alla funzione apotropaica delle maschere: “apotrépein“, cioè “allontanare” le paure ma nel caso del Carnevale anche la propria essenza, per trasformarsi in qualcosa di nuovo. Nel periodo dei Saturnali si abbattevano tutte le convenzioni sociali, era un’occasione per uscire dal proprio ruolo e questo rituale è stato poi portato avanti nel tempo, Medioevo incluso, in varie forme e modi. Oggi è quell’occasione in cui ci mascheriamo per uscire da noi stessi e diventare altro. Semel in anno licet insanire. Si può essere folli una volta all’anno. Per riprendere il compianto Steve Jobs, allora, “siate affamati (soprattutto per il martedì grasso), siate folli”. Almeno a Carnevale.
Foto di Federica Di Giovanni