E. T. e il product placement
Il product placement è un modo particolare di fare pubblicità, piazzando un prodotto (a pagamento) in maniera apparentemente casuale sul set, rendendolo parte integrante della scena per invogliare il pubblico a comprarlo. Come un paio di occhiali, una console, dei cereali colorati, una precisa marca di latte, una barretta di cioccolato: tutto è sulla scena per una ragione. A volte si calca un po’ la mano ma il product placement è sempre regolamentato (le regole cambiano da Paese a Paese), in alcuni casi invece si trovano idee geniali per inserire il prodotto, mantenendo lo stesso fine senza risultare forzati. È quello che è successo con la Pepsi nella serie “Empire”, uno dei casi più discussi di product placement. La serie ruota attorno ad una casa discografica e nel caso in questione uno dei protagonisti fa un accordo per girare uno spot per Pepsi. Il tutto si svolge per la durata totale di tre episodi per poi trasformare lo spot fittizio, realizzato per la serie, in uno spot reale. Questa trovata pubblicitaria ha segnato un cambiamento definitivo nel modo di piazzare i prodotti nelle serie televisive, sempre più necessario dopo l’avvento delle piattaforme di streaming e l’abbattimento delle pause pubblicitarie, che invece resistono in televisione con tempi sempre più prolungati. La visibilità che un film o una serie possono dare è potentissima, ancor di più se dietro ci sono grandi nomi, tanto che alcuni prodotti sono diventati cult proprio grazie alle scene in cui sono stati inseriti, come il pallone Wilson in “Cast Away”. Niente che Andy Warhol non avesse previsto, insomma.
Mille modi per mostrare un prodotto
Ci sono diversi tipi di product placement: screen, script o plot placement, a seconda di come si sceglie di inserire un prodotto. Può essere semplicemente menzionato, piazzato sulla scena o diventare parte integrante della trama come, appunto, i waffle tanto amati da Undici. In altri casi, il plot placement include il prodotto non solo nella trama, ma perfino nel titolo stesso di un film, come è avvenuto per “Il diavolo veste Prada” o “Gran Torino”, oppure pensate alla popolarità che ha avuto la El Camino dell’81 guidata da Jesse Pinkman in “Breaking Bad” – Chevrolet ha piazzato $784,000 solo per il film, che ha come titolo proprio il nome della macchina. Stiamo parlando di marchi che non hanno bisogno di essere sponsorizzati per farsi conoscere: la Gran Torino, per dire, esiste dagli anni Sessanta ma, associata al film, diventa iconica e rimane più facilmente impressa. Ad oggi è impossibile non pensare a questa macchina senza vedere anche la faccia di Clint Eastwood.
Si è fatto ricorso a questo escamotage anche nell’episodio “Flamin’ hot Cheetos” nella serie “Orange is the new black”, dove i celebri snack al formaggio diventano parte integrante del titolo e della trama, circondati da mille altri snack americani, come le Pop Tarts. È possibile inventarsi davvero qualsiasi tipo di inserimento: in “American Horror Story”, per esempio, i Cheetos vengono usati per prendere in giro Donald Trump, più originale di così non si può! Le sit-com sono sicuramente uno spazio in cui si può giocare con estrema facilità con il product placement. “Vuoi un Oreo?” chiede Sheldon all’amico Leonard in “The big bang theory”, rendendo così una sponsorizzazione assolutamente naturale. Allo stesso modo non risulta forzata la presenza della Cheesecake Factory in cui lavora Penny e in cui i protagonisti si ritrovano spesso a mangiare. Una presenza costante, che però non risulta appesantita, nonostante sia una pubblicità che va avanti per diverse stagioni e praticamente in ogni puntata. Attraverso queste scene, la cultura pop americana ha trovato posto nelle nostre case, passando per gli schermi delle tv. Molto probabilmente se oggi sapete cos’è un PB&J è perché avete visto Walter White prepararsene uno, con il burro di arachidi Jif in bella mostra.
Esistono anche gli esempi di reverse product placement, vale a dire prodotti che sono stati inventati per determinati film o serie tv ma che poi sono diventati popolari e sono stati lanciati davvero sul mercato. L’esempio più popolare, in ambito televisivo, rimane la birra Duff de “I Simpson”, mentre per il cinema è impossibile non menzionare la Bubba Gump che dal film “Forrest Gump” è diventata una vera e propria catena che oggi conta decine di ristoranti sparsi per il mondo. I fan di Harry Potter hanno sognato per molto tempo di poter mangiare le gelatine Tuttigusti+1, che sono diventate una realtà prodotta da Jelly Belly insieme ad altri cibi comparsi nella saga fantasy, come le lumache gelatinose, le cioccorane e perfino la burrobirra.
C’è poi chi va controcorrente e ama prendere in giro questa pratica, soprattutto quando diventa poco velata. Pensavate che lo scotch Glen McKenna di “How I met your mother” esistesse davvero? Non si può fare a meno di sorridere, invece, di fronte alla parodia del product placement nel film “The Truman Show” (1998): in un reality show che si svolge in diretta è davvero difficile riuscire a sponsorizzare i prodotti, la telecamera indugia e i protagonisti li inseriscono forzatamente nelle conversazioni. Il povero Truman (Jim Carrey) è ignaro di tutto e non capisce perché spesso la moglie e i suoi amici si comportino in maniera così strana, ripetendo il nome del marchio del caffè che stanno per bere o della six pack di birra da scolarsi nello scantinato. Quentin Tarantino, invece, adora inventare dei marchi, che per i fan dei suoi film ormai sono dei cult. Su tutti, le sigarette Red Apple e il Big Kahuna burger, ma ci sono anche la fittizia catena di fast food giapponese Teriyaki Donut, i toast di Sam’s toaster pastries, la compagnia di taxi Big Jerry Cab & co o la compagnia aerea messicana Cabo Air – solo per citarne alcuni.
Un altro esempio di come la finzione si sia poi trasformata in realtà è la campagna del ketchup Heinz nata dalla serie “Mad Men”. La serie ruota attorno a un’agenzia pubblicitaria e un’idea tanto semplice quanto efficace del protagonista Don Draper (Jon Hamm) è stata poi usata davvero dalla Heinz. Nella proposta del geniale Draper, in un episodio uscito nel 2013, non veniva mostrato il prodotto ma soltanto un piatto di patatine, una bistecca e un hamburger. Ad accompagnarli c’era la scritta “Pass the Heinz” (Passami l’Heinz), lasciando intendere che fosse l’unico ketchup da usare. In effetti, è il primo a venire in mente. Nella serie, ambientata negli anni Sessanta, la proposta non risultava così convincente per il cliente, mentre nel 2017 Heinz ha annunciato che avrebbe usato la stessa campagna.
Il caso dei Reese’s pieces
Uno dei product placement più riusciti della storia del cinema rimane, tuttavia, quello di “E. T. – L’extraterrestre”, film di Steven Spielberg uscito nel 1982. Già allora il regista non era esattamente uno sconosciuto, aveva alle spalle giusto qualche film tra cui “Lo squalo”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e “I predatori dell’arca perduta”. Aveva in mente una scena particolare in cui il piccolo extraterrestre si ritrovava a raccogliere delle caramelle dal pavimento e aveva immaginato che potessero essere delle M&M’s. Fece quindi la sua proposta al brand, Mars, per richiedere i diritti di utilizzo ma risposero di no. Senza scoraggiarsi, Spielberg passò direttamente alla concorrenza ed ora provate a immaginare E. T. che raccolga qualcosa che non siano i Reese’s pieces?Impossibile. A fronte di un investimento di un milione di dollari da parte del brand, a due settimane dalla release del film le vendite del prodotto aumentarono del 65%.
C’è la barretta di cioccolato Baby Ruth de “I Goonies” e ci sono i cupcake di Magnolia Bakery che mangiano due protagoniste di “Sex and the city”, il pastrami di Katz in “Harry ti presento Sally” (e in altre mille opere), la FedEx (oltre alla Wilson) di “Cast Away”. Molto spesso il target di riferimento, soprattutto se in ballo ci sono gli snack, sono gli adolescenti. Scene come quelle della serie “Tredici” mostrano i protagonisti circondati da ogni tipo di delizia, dolce o salata, al bar del cinema: barrette di cioccolato, popcorn e tutto quello che si potrebbe immaginare. Il desiderio è immediato e in più l’effetto che si ha è che il prodotto abbia “l’endorsement” dei protagonisti, che in serie particolarmente apprezzate diventano spesso dei veri e propri punti di riferimento. Si riflette molto sull’efficacia del product placement ma molto meno sugli effetti che può avere sul pubblico. Le conseguenze sulla salute, soprattutto per quanto riguarda il target degli adolescenti, sono sottovalutate. La diffusione di un numero così alto di snack contribuisce a diseducare il pubblico mentre la stessa influenza, oltre che per un incremento delle vendite, potrebbe essere sfruttata per educarlo.
Un caso anomalo e clamoroso di product placement non voluto è accaduto, invece, con “Il trono di Spade”. Nell’ultima stagione della serie di culto nata dalle opere di George R. R. Martin è comparso sulla scena un bicchiere di Starbucks che ha mandato in tilt i fan ed è diventato un argomento gettonatissimo per diversi giorni. Si trattava di pubblicità voluta oppure no? Considerata l’ambientazione di “Game of thrones”, era chiaro che si trattasse di una svista, di un clamoroso errore che i fan, già delusi per la bassa qualità della stagione conclusiva, non hanno esitato a criticare. In ogni caso la svista ha funzionato, si è parlato per giorni di un marchio che di certo non doveva preoccuparsi troppo di farsi pubblicità ma che l’ha ottenuta in modo gratuito e che ha colto la palla al balzo, rafforzando la cosiddetta brand awareness. L’errore giusto, al momento giusto.
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