Cantare senza l’orchestra
“Karaoke”, programma ideato dall’instancabile Fatma Ruffini, andava in onda tutte le sere all’ora di cena, le famiglie guardavano i concorrenti alternarsi sul palco, “comuni mortali” alla ricerca dei warholiani 15 minuti di celebrità sul palco nella piazza del paese. Alcuni di quei “comuni mortali”, in seguito, ce l’hanno fatta per davvero: nell’infinito tour di città italiane, “Karaoke” ha visto salire sul proprio palco personaggi del calibro di Elisa e Tiziano Ferro, allora giovanissimi. Nel 1993 il successo di “Karaoke” aveva raggiunto il suo apice, aggiudicandosi due Telegatti, uno per la migliore trasmissione rivelazione dell’anno e uno per il personaggio rivelazione dell’anno. Fiorello, appunto, che rimase al timone della trasmissione fino al 1994, prima di cedere il posto al fratello. Gli ascolti avevano premiato, e non poco, il programma, che diventò un vero fenomeno popolare: Fiorello era dappertutto e in tv si vedeva continuamente lo spot del Canta Tu, uno dei giochi-simbolo degli anni Novanta. A quel punto, tutti potevano replicare la stessa esperienza della TV anche a casa, ritrovando la stessa spensieratezza che, da decenni, migliaia di giapponesi vivono nei locali delle loro città.
Esistono, infatti, intere catene di locali dedicate al karaoke, che in Giappone è un’attività diffusa e amata da grandi e piccini. Si possono affittare delle stanze private (karaoke box) in cui socializzare, mangiare e bere, divertendosi con dei veri e propri siparietti da popstar. La tradizione del karaoke prevede che si canti su una base musicale, leggendo il testo della canzone su uno schermo. Il termine nasce dall’unione delle parole giapponesi che significano letteralmente “orchestra vuota”, oppure “senza orchestra”. L’idea di creare dei format in cui fare cantare le persone su basi musicali leggendo i testi, arriva con più probabilità dagli USA, dove negli anni Sessanta era in voga il programma della NBC “Sing along with Mitch” condotto da Mitch Miller e che coinvolgeva il pubblico da casa con il testo delle canzoni mostrato in sovrimpressione. Il karaoke è una sorta di evoluzione di questo format, dove non c’è un vero e proprio conduttore ma chiunque può cimentarsi nella performance canora. Le differenze culturali hanno fatto il resto: se in Occidente il karaoke continua tutt’ora a godere di un discreto successo, in Giappone è tutta un’altra storia. Cantare è un’importante valvola di sfogo ma in Giappone non è visto di buon occhio chi si esibisce in pubblico, per questo motivo è preferibile l’idea di avere uno spazio appartato, tutto per sé, dove poter dare sfogo alla popstar che c’è in ognuno di noi, senza doversi preoccupare del giudizio altrui e soprattutto senza disturbare nessuno. È proprio nel Paese del Sol Levante che negli anni Settanta è stata inventata la prima macchina da karaoke.
Nel giro di pochi decenni, il karaoke ha superato i confini giapponesi per conquistare il mondo intero ed oggi non c’è posto dove non si possa trovare un locale che permetta di divertirsi, cantando a squarciagola insieme agli amici. Sebbene, come già detto, in Italia il karaoke sia divenuto popolare grazie alla trasmissione condotta da Fiorello, secondo il libro “Karaoke Around the World: Global Technology, Local Singing” era un’attività già molto gettonata negli anni Ottanta ed in particolare in un locale di Roma, il Gilda Club, che sorgeva non lontano da Piazza di Spagna. Ed è a Roma che restiamo, per parlare di tradizioni e usanze nipponiche: vuoi rivivere le stesse atmosfere che si trovano tra le vie di Tokyo? Per tre giorni potrai farlo in via Giolitti 36, con “Konnichiwa, Mercato!”, un appuntamento dedicato a tutti gli amanti della cultura nipponica, da vivere e scoprire attraverso una serie di workshop, talk e degustazioni (e sì, anche il karaoke). Dal 25 al 27 marzo: scopri tutti i dettagli.
-
Previous Post
« Simulare l’esistenza