Dal bacon all’Hong Shao Rou: del maiale non si butta via niente
L’anno del maiale secondo il calendario cinese
Secondo la tradizione cinese, il 2019 è l’anno del maiale (il Capodanno cinese è stato celebrato lo scorso 5 febbraio). Si tratta di un animale molto importante nelle usanze culinarie del Paese. Nonostante sia da sempre prezioso per la tradizione contadina, in alcuni casi il maiale non è visto di buon occhio, in particolare per la religione islamica e quella ebraica, per le quali è considerato impuro. Il 2019 segna, quindi, l’anno del riscatto per il povero animale, il cui nome viene molto spesso utilizzato in termini dispregiativi. Il Capodanno cinese prevede ben 15 giorni di festeggiamenti, che culminano con la festa delle lanterne. Nell’astrologia cinese il maiale fu l’ultimo animale ad arrivare in tempo a salutare il Budda che, pronto a lasciare la Terra, chiamò a raccolta tutti gli animali – ma si presentarono solo in 12, quelli che poi divennero i segni zodiacali. Durante queste giornate sono diversi i pasti che si alternano sulle tavole delle famiglie cinesi e molti di questi sono inevitabilmente a base di maiale. Nel vastissimo mondo della cucina orientale, la carne suina è ampiamente utilizzata, in particolar modo per i ripieni. Basti pensare agli Jiaozi (餃子, 饺子), che solitamente vengono consumati il quinto giorno di festa. La loro forma è collegata ad antiche credenze, alla nascita del dio del denaro, portatore di ricchezza. Come molti altri piatti inseriti nel menu dei quindici giorni di festeggiamenti, gli Jiaozi sono di buon auspicio, alla pari delle lanterne che guidano gli spiriti benevoli verso le abitazioni. Molti piatti sono a base di pollo e di pesce e, come da consuetudine, le portate vengono volutamente fatte avanzare, anche in questo caso in segno di buon auspicio. I ravioli e sono generalmente considerati dei piccoli portafortuna. Il maiale è il segno dei coraggiosi, di coloro che non si tirano indietro e hanno un animo gentile.
L’importanza del maiale nella vita culinaria cinese ha anche molto a che fare con la storia sociale, politica ed economica della Cina, che ha vissuto lunghi periodi di povertà e carestia e ha visto il popolo costretto a numerose rinunce e sacrifici. La carne suina è versatile nel sapore e nell’impiego, è nutriente e più salutare e/o reperibile rispetto alle carni rosse, il suo prezzo è sicuramente più accessibile. Si tratta di un animale onnivoro, perciò molto più facile da allevare senza costi eccessivi, inoltre è più grasso e, come sappiamo, anche quella parte viene largamente impiegata. Secondo la medicina cinese, quella del maiale è la carne più sana e in Cina, di fatto, è quella più consumata in assoluto. Nonostante anche anatra, manzo e montone siano popolari, è sempre il maiale a rimanere in pole position. Con la ripresa economica del Paese è aumentata la domanda di questo tipo di carne: nel 1985 se ne consumavano circa 12 kg (pro capite) all’anno nelle aree rurali; nel 2009 i kg consumati sono aumentati del 63%, arrivando a 19,6 Kg. Nelle aree urbane, dove la qualità della vita è mediamente migliore, nel 1985 si consumavano 22,5 kg di carne di maiale, che nel 2009 sono aumentati del 54%, arrivando a 34,7. La domanda è cresciuta fino a raggiungere i picchi più alti dal 2016 in poi. I dati dimostrano come il benessere aumentato nelle aree rurali abbia incentivato notevolmente la richiesta di carne. Tra Jau gok ( 油角), ravioli tipici del Guandong, Baozi (包子), i piccoli panini cotti al vapore, e Wonton (餛飩), si nota la presenza costante della carne suina nei ripieni. Come si legge sul sito Whole hog, dedicato interamente al mondo del maiale, “pork brings people together”: dal rito dell’uccisione fino al consumo conviviale, il maiale unisce. In Cina, poi, è consuetudine mangiare in condivisione, possibilmente seduti intorno a una tavola rotonda.
Dalla grande carestia all’apertura dei fast food
Non è sempre stato così, soprattutto durante il periodo maoista, durante il quale la carne in generale era un lusso concesso a pochi. Anche Mao Zedong, di origini contadine, sosteneva che “fare la rivoluzione non è come invitare gente a cena”, lui stesso si concesse per lungo tempo pasti frugali. Secondo Fuchsia Dunlop (Shark’s fin and Sichuan Pepper: a Sweet-Sour memoir of eating in China, 2008) il piatto preferito del leader del Partito Comunista Cinese era l’Hong Shao Rou (紅燒肉), maiale brasato, tanto che il Governo ne diramò la ricetta ufficiale vietandone ogni tipo di imitazione. Si tratta di un piatto ricco di spezie e peperoncino piccante, che a Mao piaceva molto, da servire affiancato da riso al vapore e verdure. La ricetta iniziò presto a spopolare nelle cucine di tutti i ristoranti dell’Hunan ed in seguito è stata esportata anche oltre i confini cinesi. Dando un’occhiata – anche rapida – ai ricettari cinesi è impossibile non notare i vari Maiale alla Dongpo (東坡肉), prima fritto e poi brasato, i fun guo (粉果), il maiale mu shu (須肉), alla pechinese, il noto street food Roujiamo (肉夹馍) della provincia dello Shaanxi, gli straccetti di Rousong (肉鬆). Queste sono solo alcune delle numerose preparazioni a base di carne suina, alcune sono diventate famose anche in Occidente, a volte in versione modificata. Dalle “teste di leone”, le polpettine stufate che ricordano il leone guardiano della tradizione cinese dai poteri benefici, fino al mu shu, che ha riscosso un enorme successo negli Stati Uniti negli anni ’60. All’epoca era diventato un piatto di punta della cucina cinese-americana, una contaminazione che aveva ottenuto gli elogi del New York Times nella guida dei ristoranti di Washington DC. Allora il piatto seguiva la ricetta tradizionale, ma nel corso del tempo ha subito svariate modifiche. Recentemente la cucina cinese è stata protagonista di un corto animato, “Bao“, prodotto dalla Disney/Pixar e vincitore di un premio Oscar. Nel delizioso corto i piccoli panini cotti al vapore diventano un pretesto per parlare di famiglia, tradizione e in particolare il rapporto tra genitori e figli. Dal deserto del Gobi al Fiume Giallo, nella popolosa Cina ogni angolo è costellato di cibo di ogni genere. Si tratta di una delle civiltà più antiche in assoluto e di una terra molto vasta, dove il cibo è arrivato ad essere quasi un’ossessione. Imperi e dinastie si sono susseguiti, fino all’avvento della Repubblica, prima, e del Partito Comunista, poi. Ad oggi la Cina è una delle più grandi potenze economiche, il Paese che importa ed esporta di più in assoluto. Dire “cucina cinese” pensando solo ai ravioli ripieni di carne rischia di diventare estremamente riduttivo – al limite del blasfemo – considerando i millenni di storia che il Paese ha alle spalle. Nel quarto Paese più grande al mondo per estensione la cucina è il risultato della somma di almeno 8 diverse cucine regionali dove si riscontra la continua ricerca di equilibrio nel cibo. La cucina cinese è, non a caso, alla base della macrobiotica, nata dalla medicina tradizionale e basata sulle antiche filosofie cinesi. La cucina macrobiotica prevede la ricerca dell’equilibrio tra forze antagoniste e complementari, lo Yin e lo Yang: sebbene non ne sia stata comprovata l’efficacia, è risaputo che si tratta di un tipo di cucina più sana, priva di molti dei grassi consumati nelle diete occidentali. Nonostante questo, anche la cucina cinese è cambiata e continua a mutare, influenzata sempre più dall’esterno.
Dal 1959 al 1962 il Paese ha attraversato una gravissima carestia che ha causato milioni di morti. Oltre 40 milioni secondo le stime, 14 milioni quelli dichiarati dal Governo cinese. Negli anni del Grande Balzo in avanti, Mao Zedong chiese al suo popolo sacrifici estremi per aumentare la produzione di acciaio. Una corsa ossessiva che vide inevitabilmente sacrificata (tra le altre cose) l’intera produzione agricola, a discapito di un’intera popolazione. Un trauma che il popolo cinese si porta dietro ancora adesso e che giustifica l’ossessione per il cibo. Negli anni Ottanta hanno iniziato ad aprire i primi fast food, un’impronta esotica e un’ondata di novità impensabile fino a quel momento. Nel 1984 (anno orwellianamente emblematico) debuttò il McDonald’s, seguito nel 1987 da KFC (Kentucky Fried Chicken), tutt’oggi la catena di fast food più popolare in Cina. Iniziò a nascere un fenomeno che prima di allora sarebbe stato inconcepibile: in un Paese isolato dall’esterno, in cui la dieta è stata sempre incentrata su pasti semplici e prevalentemente a base di cereali, si stava insediando il junk food. Quello dell’obesità è stato un fenomeno del tutto inedito per la popolazione cinese, che ha iniziato a conoscerlo in particolar modo negli anni duemila, quando ormai i fast food sono diventati parte integrante del tessuto sociale. KFC, per esempio, nel corso del tempo ha adeguato numerose ricette alla storia culinaria cinese, risultando ulteriormente familiare e universalmente accettabile; allo stesso tempo, non ha fatto altro che amplificare un fenomeno che, prima di allora, era stato prerogativa dei Paesi occidentali ed in particolare degli Stati Uniti. Dal bacon all’Hong Shao Rou il passo può essere breve ma, così come in Italia, nonostante l’avvento dei fast food e il fascino del “cibo-spazzatura”, in Cina è la tradizione a persistere e ad avere la meglio.
Foto di Federica Di Giovanni
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