“Der zanto maritozzo”: il comfort food della tradizione romana
Semplice ma d’effetto, anche se c’è chi ama farcirlo in altri modi, inclusi canditi e uvetta; a mo’ di panettone, che in realtà è la versione più simile alla sua ricetta originaria. A Roma, tuttavia, è molto più diffusa la versione con la panna montata.
La tradizione della preparazione del maritozzo viene fatta risalire al periodo quaresimale e in particolare a quello di San Valentino, che un tempo cadeva il primo venerdì di marzo. Oggi la proposta di matrimonio si fa tenendo in mano una scatolina contenente un prezioso anello, allora l’anello era nascosto nel dolce. Il maritozzo prende il suo nome proprio da qui, dall’aspirante marito che nascondeva l’anello o un altro tipo di gioiello nell’impasto del dolce, sapientemente decorato con “ricami di zucchero”. Ovviamente nel corso del tempo i pasticceri hanno sperimentato altre varianti, che contemplano tra le varie cose anche un ripieno di gelato. Colazione, merenda o proposta di matrimonio, il maritozzo è un dolce particolarmente versatile e chi ama osare lo ha sicuramente assaggiato anche nella sua variante salata.
C’è chi dice, invece, che la storia del maritozzo riguardi sì le coppie nascenti, ma a ruoli invertiti. Erano le ragazze, secondo un’altra leggenda popolare, a preparare il dolce e a distribuirlo ai ragazzi più ambiti. Ognuno di loro avrebbe poi scelto la futura moglie in base alla sua abilità ai fornelli: presi per la gola e conquistati, insomma.
Dall’antica Roma alle regole della Chiesa
La ricetta più antica del maritozzo (o della preparazione ad esso più simile) viene fatta risalire al tempo dell’antica Roma. I dolci erano un simbolo di ricchezza al tempo della Roma imperiale e facevano la loro apparizione su tavole imbandite di ogni pietanza. Erano completamente diversi da qualsiasi cosa possiamo immaginare oggi, anche perché diversa era la varietà delle materie prime disponibili al tempo. Allora miele e fichi erano i dolcificanti più diffusi, mentre l’utilizzo della panna montata per molto tempo è stata una prerogativa delle popolazioni nordiche.
Il maritozzo romano si distingue da altre varianti regionali perché la pagnotta ha una forma più arrotondata. I cibi dei romani erano più grezzi, erano un popolo amante della frugalità ma erano anche dei buongustai e durante i loro banchetti non si facevano mancare niente. Zuppe, tortine, pane di vari tipi a seconda dell’utilizzo, verdure, focacce e molti formaggi e legumi. La carne, in realtà, era un alimento meno diffuso quel che pensiamo. Il maiale andava per la maggiore, soprattutto perché permetteva – tramite gli insaccati – una conservazione più facile e duratura dell’alimento. Pare che comunque fossero in voga le carni esotiche e tra i piatti più bizzarri ci fossero lingue di fenicottero o carne di pavone.
La vita nell’antica Roma desta sempre molta curiosità ed è stata spesso dipinta in maniera molto sfarzosa ed eccessiva, soprattutto nel mondo del cinema. Nel corso dei secoli, dopo che la morale cristiana ha avuto il sopravvento, c’è stato un tentativo di screditare i peccaminosi romani. Durante il periodo d’oro della Chiesa, invece, era molto importate rispettare i precetti religiosi per evitare, tra le altre cose, di essere scomunicati. Il periodo quaresimale, con digiuno annesso, metteva a dura prova i fedeli. Il “zanto maritozzo”, così come lo definiva il poeta romano Giggi Zanazzo, era l’unico peccato di gola concesso in quel periodo dell’anno. Era, quindi, il comfort food quaresimale per eccellenza. C’era chi proprio non sapeva resistere a cotanta bontà, col rischio di esagerare. Come Ignazio Sifone, il poeta che nella sua “Ode al maritozzo” scrisse, nonostante il medico lo avesse avvisato del rischio di avere il colesterolo troppo alto: “mio caro maritozzo, te mozzico, poi pago er giusto prezzo!”.
Foto di Federica Di Giovanni
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