Feed your head. Il cibo nel paese delle meraviglie
Dal libro al film d’animazione
Una delle scene più conosciute riguarda il tea party del Cappellaio Matto, rappresentato poi anche nel film d’animazione della Disney con la canzone di “buon non-compleanno”. Tra indovinelli e assurdo, Lewis Carroll ha creato una delle opere più amate di tutti i tempi, usandola anche come stratagemma per deridere la società dell’epoca. La cerimonia del tè è quasi una parodia della mole di regole e formalità che hanno contraddistinto l’epoca vittoriana. Dodgson/Carroll aveva già preso in giro la rigidità dell’etichetta nel libro satirico “Hints for Etiquette: or Dining out made easy” del 1855, pubblicato quando aveva 23 anni. Il ghiro che dorme tra le tazze e le teiere, il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina che poggiano i gomiti sul tavolo: un atto gravissimo, a riprova del fatto che tutte le regole del bon ton vengono violate spudoratamente. Per non parlare, poi, del burro spalmato nell’orologio da taschino, il cantare e il chiacchierare a voce alta, i continui cambi di posto, i piatti sporchi impilati e lasciati sul tavolo: roba da far svenire i più attenti alle regole. La scena del tea party è stata riprodotta nel film d’animazione “Alice nel paese delle meraviglie” del 1951, il primo libro e il secondo (Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò) vengono fusi in un’unica storia, pur con le modifiche del caso: dall’ordine cronologico degli eventi ai personaggi. Anche se oggi è considerato un cult, il film della Disney all’epoca non ricevette un’accoglienza calorosa e non fu osannato. Ciò di cui la major non si era accorta nell’immediato era quanto il film fosse in anticipo sui tempi. L’era hippie era dietro l’angolo, “Alice in wonderland” era un film troppo lisergico (alla pari del libro) per un pubblico che lo avrebbe apprezzato solo oltre un decennio dopo, con l’avvento di “Yellow Submarine” di George Dunning (1968). La Disney non amava essere associata alla nascente cultura hippie-psichedelica ma aveva dato prova di essere avanti, da questo punto di vista, in almeno altre due occasioni. La prima era stata l’uscita di “Fantasia” nel 1940 e la seconda appena un anno dopo, con la scena degli elefanti rosa di “Dumbo”. Dopo una lunga esitazione, la major decise di assecondare il trend e mettersi al passo coi tempi: nel 1974 “Alice nel paese delle meraviglie” era pronto a tornare in sala.
Lewis Carroll è stato un grande amante dei giochi di parole, tanto da inventarne uno tutto suo, il word ladder. Ciò ha reso estremamente difficile riuscire a tradurre “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” in altre lingue, cercando di mantenerne lo spirito giocoso. Il cibo si presta facilmente a questo approccio, tanto che i riferimenti ad esso, nel libro, sono moltissimi. Tutto ha inizio dalla bottiglietta con l’etichetta “drink me”, dal gusto molto particolare. Curiosa come ogni bambino, Alice non sa resistere alla tentazione e scopre che la bevanda ha il potere di rimpicciolirla. Nel corso della sua lunga avventura onirica, scoprirà che molti cibi nel paese delle meraviglie possono modificare la sua statura. Come il dolcetto con su scritto “eat me”, che la fa diventare gigante abbastanza da poter prendere la chiave, ma troppo per poter passare dalla porta. Lo stesso vale per il fungo del Brucaliffo: può fare crescere o rimpicciolire a seconda del lato in cui si mangia. Dalle ostrichette curiose della storiella del Tricheco e del Carpentiere, passando per la Quadriglia delle aragoste e i sassi che diventano pasticcini, come quelli rubati dal Fante processato dalla Regina, nel libro c’è davvero un po’ di tutto. Celebre è anche la zuppa piena di pepe che Alice scopre a casa della Duchessa. La spezia, presente in eccesso, fa starnutire il bambino che, una volta in braccio alla protagonista, si trasforma in porcellino e scappa via. Nel libro di Lewis Carroll si parla anche della mock turtle soup, il finto brodo di tartaruga. Quest’ultima è stata rappresentata nelle illustrazioni di John Tenniell, che si è attenuto alla sua composizione reale. Per quanto possa sembrare frutto della fantasia di Carroll, la zuppa era una vera preparazione vittoriana, composta principalmente da parti di vitello. Osservando bene le illustrazioni dell’animaletto malinconico durante il suo incontro con Alice, si può notare quanto Tenniel si sia attenuto alla ricetta. Ancora una volta l’autore ha dato prova del suo amore per i giochi di parole e gli indovinelli, oltre che per i poemetti, che sono disseminati per tutto il libro (e anche nel suo seguito). La scena più emblematica di tutte, in ogni caso, rimane quella rappresentata nel capitolo 7: Un tè di matti, dove Alice si siede pur non essendo invitata al tea party e in cui si mastica rumorosamente. Il tè del Cappellaio Matto è talmente famoso che in giro per il mondo si possono trovare tantissime sale ed eventi a tema, per veri appassionati della storia di Carroll e per amanti della bevanda più british che ci sia. Nel caso in cui voleste organizzarne uno, non scordatevi la marmellata di arance.
L’impatto sul rock psichedelico
L’influenza del libro sulla cultura popolare è stata ed è tutt’ora vastissima, in ogni ambito. La tana del Bianconiglio viene spesso utilizzata come metafora. Succede, per esempio, nel film “Matrix”, che non è l’unico che fa riferimento all’opera di Carroll. Non mancano riferimenti anche in “Shining”, sia nel libro che nel film: avete presenti le due gemelline che Danny incontra nel corridoio dell’Overlook Hotel? Guardate attentamente come sono vestite, improvvisamente vi sembreranno abiti familiari. Nel libro Stephen King ha fatto impugnare una mazza da roque al Jack Torrance infuriato contro Wendy: il roque ricorda molto il croquet tanto amato dalla Regina di Cuori. Cinema a parte, “Alice nel paese delle meraviglie” si presta anche alle interpretazioni più disparate e a innumerevoli approcci. Partendo da quello matematico, vicino alla formazione dello stesso Charles Dodgson, fino alla fisica quantistica, passando per la psicanalisi e la filosofia. Non si saprà mai, di fatto, se Carroll avesse riempito il romanzo di allegorie e riferimenti alle classi sociali (o altre teorie astruse) o se la sua opera sia soltanto il frutto di puro divertimento creativo, ma di certo ha influito sulla creatività di molti altri.
I Beatles cantavano “I am the walrus” in omaggio alla storia del Tricheco e il Carpentiere, inserendosi nel filone del rock psichedelico. Questo genere musicale, apprezzato da gruppi come i Doors e i Pink Floyd, ha avuto come idea di fondo quella di usare le droghe per espandere la propria mente, “aprire le porte della percezione”. Erano gli anni dei trip a base di LSD, mancava pochissimo a Woodstock, erano quelli in cui Grace Slick scrisse “White Rabbit”, brano cult dei Jefferson Airplane. Mentre in molti si sono sempre chiesti se Carroll fosse sotto effetto di droghe quando diede vita a “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie”, ci sono pochi dubbi sull’influenza che queste ebbero sulla carriera del gruppo di San Francisco. Il fungo del Brucaliffo si trasformava magicamente in pillole: “one pill makes you larger, and one pill makes you small”. Tra conigli, brunchi, funghi e scacchiere, “White Rabbit” è uno dei brani-simbolo del rock psichedelico e dell’acid rock che hanno contraddistinto la fine degli anni Sessanta e tutto il decennio successivo. L’importanza del cibo, reale o simbolico, si trascina dal romanzo di Carroll al brano dei Jefferson Airplane. La chiusura fa riferimento al ghiro dormiglione del tè del Cappellaio Matto e a una frase che nel libro, in realtà, non pronuncia.
“When logic and proportion have fallen sloppy dead,
and the White Knight is talking backwards,
and the Red Queen’s off with her head,
remember what the dormouse said:
Feed your head,
feed your head”.
Nutri la tua mente. E non dimenticare, per nessun motivo al mondo, di preparare il tè con pane, burro e marmellata.
Foto di Federica Di Giovanni
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