Luca Boccoli, una passione sconfinata per il buon vino
Si chiama Luca Boccoli, al Mercato Centrale Roma con “Il vino al bicchiere” si occupa di selezionare personalmente dei vini, di ciascuna bottiglia conosce ogni dettaglio.
Tutto è frutto di un lavoro che dura ormai da anni, una passione che lo ha portato a conoscere bene il territorio, i viticoltori, girando per l’Italia e nel mondo sempre alla ricerca di sapori nuovi, senza mai trascurare la conoscenza delle persone che stanno dietro le quinte, i produttori. Luca Boccoli ci ha parlato del suo arrivo al Mercato Centrale Roma e cos’ha in mente:
Siamo partiti l’8 dicembre, il Mercato aveva già avuto una partenza importante. L’accoglienza è stata bellissima, qui ho portato la mia selezione: da 30 anni sono nel mondo del vino, ho portato la mia vita.
La passione per il vino non c’è sempre stata, perché Luca Boccoli ha fatto molta strada prima di rendersi conto di quale fosse la sua passione principale:
Ho iniziato dalla scuola alberghiera, ho fatto carriera nei grandi alberghi europei come uomo di sala. Sono stato barman per molti anni e poi quando, negli anni ’90, la mia preparazione sugli alcolici non bastava più, ho iniziato a studiare il vino. Quando studiavo a scuola non amavo sapere niente sulle regioni e il territorio, poi mi sono appassionato a questa materia, ho cominciato a girare e ho capito che solo così si poteva conoscere il vino. I libri, gli studi, le degustazioni, vanno bene, però bisogna sapere sempre chi c’è dietro la bottiglia. A me interessa l’uomo, il vino è un regalo della terra.
Boccoli si occupa solo di selezionare i vini, ammette che non sarebbe capace di fare il viticoltore, viene dalla città ed è l’ambiente in cui ha sempre vissuto. L’Italia ha molto da offrire per quanto riguarda il vino, ma dopo i suoi numerosi viaggi si è innamorato di un posto in particolare:
Sono stato un grande appassionato di vini italiani fino al 2002 circa, girando l’Italia in lungo e in largo. Poi ho scoperto la Francia e da allora i miei viaggi li faccio principalmente lì. Credo sia quello il punto di arrivo di ogni degustatore, regioni come la Borgogna e la Champagne hanno un bellissimo concetto di territorio che noi purtroppo non abbiamo.
Luca ha portato un po’ di Francia anche al Mercato, spesso i vini francesi sono considerati poco accessibili e non c’è molta cultura in merito. Infatti iniziamo a fare un po’ di chiarezza su alcuni argomenti, perché tutti continuano a paragonare il Prosecco allo Champagne?
È un’eresia! Non c’è possibilità di confronto, sono due prodotti diversi. Il Prosecco viene fatto in grandi silos per la rifermentazione, lo champagne viene fatto direttamente nella bottiglia. Un chilo d’uva per produrre lo champagne è sicuramente più prezioso e prestigioso.
Il Prosecco dal 2014 ha superato nettamente lo champagne per il numero di bottiglie di vino nel mondo, ma ci sono altri vini che si stanno facendo strada e si sentono nominare sempre più spesso. Sono quelli della Napa Valley, i vini della California sono davvero così buoni o si tratta solo di una moda?
Da quando è iniziata la crisi, gli USA hanno deciso di consumare tanti prodotti nazionali, esaltando i vini californiani. In realtà non hanno la concezione del vino come abbinamento al cibo, fuori dall’Italia quasi tutti lo vedono come una normale bevanda, alla pari di un cocktail e viene bevuto prima o dopo i pasti. Per noi è da abbinare al cibo, per me è valida la filosofia italiana: il vino va sempre bevuto mangiando qualcosa, anche per asciugare l’alcol che contiene, non fa bene al corpo.
Di curiosità su questo mondo ovviamente Luca Boccoli ne conosce moltissime, sottolinea di come troppo spesso si facciano degli errori dettati dalla mancanza di una cultura appropriata sull’argomento:
L’Italia viene dall’Enotria*, letteralmente “paese del vino”, eppure ne sappiamo pochissimo, forse perché avendolo sempre a tavola non gli abbiamo dato la giusta importanza. In Francia invece è cultura, conoscenza e rispetto. Si parla di cibo, si parla di vino, si consuma ma poi c’è poca conoscenza, spesso arrivano delle richieste assurde come lo “Straminer”, il Chianti bianco, il Nebbiolo di Montalcino, il Barolo toscano. Così come il Prosecco: l’uva con cui si produce si chiama glera, il nome “Prosecco” dice tutto e non dice niente. Ne produciamo di più rispetto allo champagne ma la differenza qualitativa è notevole. Inoltre la gente tende a comprare prodotti di bassa qualità, basti considerare che è di almeno 2 euro il costo per la bottiglia e il tappo in sughero: spendere la stessa cifra per una bottiglia al supermercato fa già capire che non può certo essere un buon prodotto. Il peggior vino del contadino è sempre meglio di un prodotto industriale, che può sì essere buono ma diventa meno vero quando interviene la tecnologia.
Il lavoro di Luca Boccoli è anche un po’ da psicologo, infatti lui stesso sostiene quanto sia importante instaurare un rapporto verbale con il cliente, che non deve limitarsi a leggere solo la carta dei vini. Lui, che conosce da vicino il prodotto, può offrirgli una scelta più ampia, la psicologia è alla base di questo lavoro. Boccoli sostiene che sia più importante studiare il cliente rispetto ai vini, solo in questo modo si può accontentare davvero. Pensa al film d’animazione “Ratatouille” e alla figura di Anton Ego che assaggia il piatto preparato da Rémy e magicamente torna alla sua infanzia: hai mai provato una sensazione simile con il vino?
I vini dei contadini mi fanno questo effetto. Mio padre non c’è più da un po’ di anni, lui vedeva che studiavo molto il vino e gli portavo le bottiglie da assaggiare, ma era abituato al vino sfuso e non gli piaceva. Adesso quando vedo vini naturali, senza conservanti, mi ricordano quelli che beveva lui.
Torniamo ai chiarimenti, un’altra tendenza di cui si sente parlare spesso è il vino vegano. Spieghiamo una volta per tutte che cos’ha di diverso rispetto agli altri vini:
In vigna non sono quasi mai aggiunti fertilizzanti animali, vengono usati quelli vegetali. In cantina, invece, ci sono delle tecniche che utilizzano la chiara dell’uovo per chiarificare, che in questo caso non viene utilizzata.
C’è un’altra cosa di cui Luca vuole parlare, per fare ulteriore chiarezza:
L’anidride solforosa. Dal 2004 è obbligatorio scrivere che il vino contiene solfiti. La solforosa è un veleno ma viene aggiunto in tutti i vini, rappresenta l’antibiotico, lo sterilizzatore, lo stabilizzatore di tutti i vini. Chi riesce a fare vini senza usarla è bravissimo, lavora in una situazione da sala operatoria, dove nessun elemento intacca il vino. Io vorrei che si scrivesse sull’etichetta quanta ne viene aggiunta. La legge prevede una quantità precisa consentita, ma sarebbe bene che si scrivesse quanta ce n’è, così chi lo acquista è libero di decidere se bere quel vino o no. La solforosa è inodore, insapore, incolore, viene messa appena l’uva è in cantina, durante le fermentazioni e poi per l’imbottigliamento. Io penso sia meglio metterla alla fine per farla durare nel tempo ma spesso per problemi di fermentazione, assenza di una pulizia perfetta, viene utilizzata anche in altre fasi. È quel gas che fa venire il mal di testa, per prevenire questo fastidio bisogna lasciare la bottiglia aperta per farlo esalare, si lascia decantare il vino. Se non si utilizza la solforosa i vini sono totalmente diversi, per esempio è utile anche per mantenere il pigmento. Ci vorrebbe più sensibilità, più rispetto nei confronti di chi non la utilizza, visto che senza è molto più difficile riuscire a fare del buon vino.
Sempre curioso e anche avido lettore, Luca Boccoli parla di una lettura per chi vuole conoscere meglio il mondo del vino e una extra, che non ha nulla a che fare con il suo lavoro:
Quando mi chiedono qual è il vino più buono che io abbia bevuto, rispondo sempre che è quello della sera prima e con i libri è la stessa cosa. L’ultimo libro che ho letto è “Vini da scoprire”, di miei tre grandi amici (Fabio Rizzari, Armando Castagno e Giampaolo Gravina). Parla di vini per esperti ma non considerati quasi da nessuno, è una grande ricerca che hanno fatto in giro per tutta l’Italia. Poi amo molto la filosofia e la poesia, tante cose ma che rientrano tutte nel concetto di bellezza. Un libro molto bello che ho letto di recente è “Le affinità elettive” di Goethe.
Luca, in questo lungo percorso che ti ha portato ad appassionarti sempre di più al lavoro che oggi svolgi, c’è stato un momento preciso in cui hai capito che avrebbe scelto il vino una volta per tutte?
Lavoravo all’Hotel Hassler a Villa Medici, un cliente molto facoltoso che da due anni viveva nell’albergo e che frequentava spesso il bar, quando si è stufato mi ha chiesto di fare il maggiordomo per lui. Dopo tre giorni ho deciso e ho accettato la sua offerta. Aveva diverse case, Roma, Milano, Torino e Londra, così lasciai gli alberghi e con lui ho girato tutto il mondo. Avevamo un progetto che non è mai andato in porto, a quel punto non volevo tornare in albergo, mi stavo innamorando sempre più del vino. Ho conosciuto Anacleto Bleve e ho lavorato a Casa Bleve per 6 anni. Ho ricevuto la possibilità di girare il mondo, non ho guadagnato molto ma ho sicuramente investito e dal 2008 dirigo un gruppo, Settembrini: abbiamo iniziato in 10 e oggi siamo in 90, abbiamo 5 locali, io gestisco la parte manageriale.
Uno spirito imprenditoriale che è arrivato con l’esperienza, la nascita dell’associazione “Noi di sala” attraverso la quale Luca Boccoli cerca di ripristinare l’importanza del lavoro di sala e di cantina. Oggi sembra che fare il sommelier sia più un hobby e non una professione da prendere sul serio, invece Luca si occupa anche di formare i camerieri, che sono una parte fondamentale nel mondo della ristorazione, sono coloro che fanno girare l’economia, devono saper vendere, conoscere il prodotto, capire il cliente. Oggi c’è poca formazione in questo campo, secondo Luca Boccoli “i ragazzi hanno poca tenacia, poca voglia di sapere e di imparare, non hanno quella sete che avevo io”. Forse oggi non tutti sono disposti al sacrificio ed è cambiata la visione che si ha di questo tipo di mestiere ma, dichiara Luca, “sono alla continua ricerca di camerieri e sono disposto anche a formarli, si potrebbero fare tantissime cose solo sull’accoglienza, approfittando anche di una qualità innata del nostro popolo”.
Un’altra cosa molto importante è la tutela della tradizione, che si sta lasciando da parte per dare spazio a una cucina che viene spacciata sempre più per arte e diventa sempre più uno show. Abbiamo un bagaglio culturale notevole, si dovrebbe tornare alle tradizioni antiche e genuine, senza mai dimenticarsi di scoprire cose nuove e sperimentare. Non è da tutti, in Italia è difficile apprezzare e aprirsi a nuovi tipi di cucina, molti vanno a mangiare fuori e ordinano piatti che potrebbero tranquillamente preparare a casa:
Al ristorante si dovrebbe fare un’esperienza, mangiare quello che non si può preparare a casa. Bisognerebbe trovare il tempo di stabilire un contatto, di andare al mercato, parlare con gli artigiani, assaggiare, comprare, farsi consigliare. Per questo mi piace la logica del Mercato Centrale: mangiare e portare via qualcosa che ti è piaciuto, c’è la possibilità di trovare prodotti unici e di altissima qualità.
Ci vorrebbe un’inversione di marcia, un ritorno alle origini. La tecnologia ha fatto molti progressi ma molte cose che oggi hanno un altro nome, accadevano già moltissimo tempo fa:
I monaci cistercensi in Borgogna, nelle terre in cui si producono il Pinot nero e lo Chardonnay, avevano notato una differenziazione straordinaria del territorio nell’arco di 10 km e avevano visto che con la stessa uva si poteva avere una diversa tipologia di vino. Succedeva 500 anni fa, i monaci osservavano, vedevano i colori della terra diversi, andavano e assaggiavano la terra con la bocca. Dov’era salina capivano che la vite avrebbe dato frutti straordinari, dove il terreno era un po’ più scuro era meno saporito, ma facevano tutto senza avere alcuna strumentazione.
E ora la selezione dei vini in base alle stagioni, le sue sono scelte puramente personali ma vi consigliamo di appuntarle:
D’inverno un rosso, senza dubbio. Una scelta italiana, il Nebbiolo, e una francese, il Pinot Nero, dalla Borgogna. Primavera è risveglio, mi piacciono i bianchi con un bello stile, come il Verdicchio, di cui sono molto appassionato. A tante persone non piace il vino quando è troppo acido, fresco; questo non ha molta acidità ed è straordinario quello nella zona dei Castelli di Jesi. E poi Riesling d’Alsazia e della Mosella. Per l’estate bollicine, sono un appassionato di champagne, scrivo anche una guida, così l’ho reso accessibile, anche qui al Mercato. Mi piacciono le bollicine con la rifermentazione naturale, il procedimento è simile ma manca il dégorgement, rimangono un po’ torbidi, più veri. L’autunno è il momento più bello, io sono nato il 30 settembre, e poi c’è la vendemmia. Immagino dei vini più rustici, più contadini, naturali, non filtrati. Magari dei friulani con una macerazione lunga sulla buccia, dei bianchi molto cupi e ugualmente per i rossi, senza solforosa: un bel risveglio della terra.
Qual è un vino particolarmente sottovalutato?
Il Montepulciano d’Abruzzo, è un vino che non conosco benissimo a parte poche aziende, ma farò un grande studio prossimamente. Nell’immaginario collettivo questi sono vini di grande corpo, ma ho scoperto che sono molto freschi. Si tendeva spesso a fare dei Montepulciano che sembravano dei Barolo, ora sono più bevibili.
Curioso, inarrestabile, Luca Boccoli sente la mancanza della normalità, del tempo che potrebbe trascorrere con le figlie, alle quali cerca di insegnare quante più cose possibili. Com’era lui da bambino e com’è oggi?
Da bambino ero preciso e critico, poi quando diventi papà assumi una consapevolezza diversa. È un po’ il concetto antroposofico che insegnava Rudolf Steiner, inventore della biodinamica: la vita è un ciclo, ogni 7 anni si cambia, ed è vero. A 7 anni sei bambino, poi adolescente, dai 21 ai 28 sei un uomo (o una donna) e dai 28 ai 35 arrivi all’apice, alla consapevolezza. Dopo i 35 dovresti aver capito tutto della tua crescita, del tuo modo di stare in un ambiente, nella società e nel tuo corpo.
Tanti momenti sottratti alla famiglia per un lavoro che lo assorbe completamente, ma Luca ottimizza il suo tempo insegnando quante più cose possibili alle sue due figlie:
Cerco di metterle davanti alle cose belle, questo è l’unico insegnamento che può fare un papà come me, che deve stare 15 ore al giorno fuori casa. La mamma è straordinaria, ha dedicato la sua vita alle bambine, ora lavora qui anche lei. Io faccio un lavoro meraviglioso però mi perdo tanti momenti. Loro sono gourmet straordinarie, assaggiano, le avvicino al mio lavoro. Ai bambini bisogna insegnare questo, anche annusare, riconoscere gli odori, andrebbe insegnato nelle scuole, si dovrebbe dare un’educazione alimentare.
Che papà è, quindi, Luca Boccoli?
Sto poco a casa purtroppo, ma quando ci sono cerco di essere un buon papà. Amo le donne, sono circondato da donne in famiglia, sono un papà che cerca di spiegare la bellezza a queste bimbe che appena accendono la tv vedono solo cose brutte. Quando posso vediamo le bellezze della città, i musei… So che la bellezza non si può insegnare ma io provo a farlo comunque.
Foto di Federica Di Giovanni
*L’Enotria era un’antica regione dell’Italia meridionale che comprendeva la Calabria e quasi certamente la Basilicata e la Campania meridionale.