Usciremo vivi da questi anni Ottanta?
Gli anni ’80 hanno avuto un’estetica tutta loro, ad oggi ancora facilmente riconoscibile e per molti da considerarsi l’apice del trash. Uno si distrae un attimo, ed ecco che spuntano cappellini da capitano, velluto a coste, jeans a vita alta. È un secondo, ed è subito effetto Studio 54. Erano gli anni degli Stati Uniti di Reagan, del trionfo della fantascienza di Steven Spielberg e le grandi avventure cinematografiche dei Goonies e di Elliott che pedalava in cielo con E.T., gli anni dei paninari nella Milano da bere. Il decennio della new wave, dei New Order e i Duran Duran, di Michael Jackson e Donatella Rettore, degli Spandau Ballet e di Marcella Bella, di Madonna e Giuni Russo. Gli anni della pop art di Keith Haring, il tormento di Jean-Michel Basquiat, delle musicassette e il VHS, del boom della pubblicità, della tv di “Colpo grosso”, quella della rivoluzione berlusconiana e di “Drive in“, il decennio della ricerca del benessere come ossessione, degli yuppie come Patrick Bateman di “American Psycho”, una voglia di sognare attraverso la quale la liberazione degli anni ’70 assumeva la sua forma più materialista. Di fronte a questo boom, il crollo definitivo dell’Unione Sovietica sanciva la fine della storia per come l’avevamo conosciuta fino ad allora, era la bandiera bianca che sventolava di fronte al capitalismo.
Cosa è successo al mondo del cibo
Quando un piatto sembra un po’ demodé si usa definirlo “anni Ottanta”. Questo vale soprattutto per piatti come le farfalle al salmone, le pennette alla vodka e i tortellini panna e prosciutto – o qualunque altro piatto che contenga della panna. Si sono portati dietro lo strascico del ventennio precedente, in cui la cucina era davvero il trionfo dell’antiestetico. Ma sono riusciti a sopravvivere al ventennio successivo: l’evoluzionismo applicato alla cucina. Un pullulare di vol-au-vent, insalate russe e banana split. Negli anni ’80 le cucine dei ristoranti gridavano “Datemi panna e maionese e solleverò il mondo”. Erano, dopotutto, gli anni dell’amore smisurato per il vitello tonnato e le gelatine. Tutte ricette che oggi segretamente in molti amiamo: la moda hipster si è abbattuta violentemente sulle nostre capacità di giudizio e sul cibo, ripulendolo di ogni ridondanza, rendendolo essenziale, minimal, portandoci via il gusto e l’ardire di ammettere che sì, noi siamo per il vitello tonnato e per i tortellini panna e prosciutto. Dichiarazioni simili potrebbero far capitolare migliaia di risvoltini: migliaia di caviglie si ritroverebbero coperte senza preavviso, eppure di fronte a tali esternazioni continuerebbero a rabbrividire.
Di tutti i decenni, gli anni Ottanta sono quelli che generano più pareri discordanti. O si amano o si odiano, molto spesso vengono utilizzati per etichettare eccessi, nell’abbigliamento così come nel cibo e nello stile di vita. Un po’ bistrattati, gli 80s sono tornati di moda perché, si sa, le mode sono come i “certi amori” di cui canta Venditti. A proposito di canzoni: Raf, tu che ti chiedevi cosa sarebbe rimasto di “questi anni Ottanta”, eccoti la risposta. Il filetto al pepe verde ce l’ha fatta, è sopravvissuto perché l’Esselunga non ha mai smesso di credere nel suo potenziale. Qualcuno vuole convincersi che il cappero sia fuori moda, soprattutto se affiancato alle uova (e se le uova sono ripiene); se invece lo mettessimo in un cocktail con qualche improbabile spezia esotica, rischierebbe di diventare il must dell’anno. Questa pressione sociale ha creato un mondo sommerso di amanti degli anni ’80, che vivono il loro amore lontani dai riflettori, dove nessun occhio celato dietro pesanti montature extra-large possa giudicarli. Ma sogghignano anche, perché sanno che quella moda e quegli eccessi, in realtà, non ci hanno mai abbandonati. Guardatevi intorno: molte ricette sono state solamente ripulite ma mai eliminate del tutto. Sono riusciti ad abbattere le spalline ma nessuno potrà fermare le pennette alla vodka, il risotto alle fragole, l’esercito dei profiteroles e di milkshake. La battaglia 80s vs hipster prosegue: siamo quasi alla fase dei fiocchi appariscenti in testa, non ancora a quella degli scaldamuscoli ma ci sono i leggins; questo vuol dire che la discendenza dei fuseaux resiste ancora. Ci sono le Timberland, il denim, lo sdoganamento delle sopracciglia folte ha fatto crollare ogni barriera: grazie, Cara Delevingne.
La verità è che, nella solitudine delle nostre cucine, quando nessuno ci giudica, ammettiamo che sì, l’avocado “bello ma non ci vivrei”, e ci viene quella strana voglia di un cocktail di gamberi alla vecchia maniera, senza contaminazioni brooklyniane. Al sicuro, nelle quattro mura della nostra cucina, guardiamo la lucina del frigorifero e, per qualche misterioso e atavico motivo, bramiamo gelatine colorate e polpa di granchio. E all’improvviso non abbiamo più paura: bentornati, anni ’80.
Foto di Federica Di Giovanni
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